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La dieta post-vacanza: perché non è una buona idea?

Le vacanze sono ormai finite ed è arrivato il momento in cui ci ritroviamo a riflettere sulle nostre scelte alimentari durante quel periodo di relax e divertimento.

In questo periodo, non è raro ricevere messaggi sul nostro telefono o nella nostra casella di posta elettronica che promuovono diete miracolose o prodotti che promettono di far tornare in forma il nostro corpo in un battito di ciglia. Tuttavia, questi messaggi possono essere piuttosto persuasivi e spesso ci pongono di fronte a un dilemma: il desiderio di “rimetterci in carreggiata” e ritornare alla normalità con una dieta restrittiva. Questi messaggi possono essere ingannevoli, quasi ricattatori, spingendoci a credere che una dieta rigorosa sia l’unica via percorribile per affrontare la situazione.

In realtà, la nostra parte razionale sa che seguire un “piano definitivo” per perdere rapidamente quei chili in eccesso non è una scelta saggia, e che le diete miracolose non esistono. Ma, nonostante questa consapevolezza, spesso cerchiamo ancora di ridurre il disagio che proviamo nei confronti del nostro aspetto il prima possibile. La vera domanda che dovremmo porci è se una dieta estrema è davvero la soluzione migliore per noi.

Il ciclo delle diete yo-yo

Le diete spesso innescano un percorso psicologico complesso, caratterizzato da una serie di stati emotivi in evoluzione. Inizialmente, quando ci impegniamo in una dieta, siamo pervasi da un entusiasmo travolgente. Spesso ci diamo obiettivi di perdita di peso irrealistici, sognando di raggiungere un certo peso entro un tempo prestabilito. Questo entusiasmo ci fa credere che siamo in grado di seguire una dieta rigida e schematica senza alcun margine di errore. Pesiamo ogni grammo di cibo per evitare errori e ci impegniamo in attività fisiche strenue, cercando di sudare copiosamente.

Tuttavia, quando l’obiettivo fissato è irrealistico, è facile incorrere in errori e fallimenti. Questo è il punto di svolta in cui si passa da una fase di entusiasmo a una sensazione di castrazione. La dieta sembra soffocante, affaticante e restrittiva. Iniziamo a nutrire sentimenti di delusione, sconfitta e frustrazione. Spesso ci sentiamo come se non fossimo stati in grado di rispettare il piano alimentare, il che può minare la nostra autostima.

Questi sentimenti negativi spesso portano a un ciclo vizioso. Lo “sgarro” diventa una scusa per abbandonare completamente la dieta. Ci convinciamo che “questa volta non cambierà nulla” e abbandoniamo gradualmente tutte le restrizioni. Tuttavia, se ripetiamo spesso questo schema, ritorniamo ai vecchi schemi alimentari insalubri.

L’illusione di libertà che sperimentiamo quando abbandoniamo la dieta è fugace. Alla fine, ci rendiamo conto che il nostro stile alimentare sregolato, non guidato da una consapevolezza nutrizionale, porta inevitabilmente al recupero dei chili persi e all’aumento del rischio di malattie legate all’obesità.

La nostra percezione delle diete dimagranti è spesso influenzata da retaggi culturali profondamente radicati. Nel corso degli anni, ci è stato insegnato che seguire una dieta significa fare delle rinunce e subire restrizioni alimentari severe. Questa mentalità può trasmettere l’idea che una dieta sia intrinsecamente associata alla sofferenza, alla rinuncia e al sacrificio. Il problema principale è che quando cediamo a una tentazione o quando molliamo, la nostra memoria è ancora impregnata del ricordo di quella sofferenza o del senso di fallimento legato a quelle restrizioni. Questi retaggi culturali ci spingono a considerare il cedimento come un trionfo momentaneo su una dieta che ci ha fatto soffrire a lungo.

Quando si verifica un crollo, spesso ci sentiamo in colpa e intrappolati in un ciclo di autocritica, auto-flagellazione e rabbia verso noi stessi. Questo ciclo può rendere difficile il ritorno a un approccio più equilibrato alla dieta e al benessere, perché siamo stati condizionati a vedere la dieta come un’esperienza dolorosa e fallimentare.

L’effetto della privazione e i suoi effetti psicologici

L’effetto della privazione è un aspetto fondamentale da considerare quando si tratta delle diete post vacanza. Dopo un periodo di vacanza in cui ci si è concessi cibi deliziosi in abbondanza, il ritorno a un’alimentazione restrittiva può portare a una sensazione di privazione. Questa sensazione può avere un impatto significativo sulla nostra psicologia e sul nostro benessere emotivo.

Uno studio condotto da Herman e Polivy nel 2008, noto come il “modello della restrizione cognitiva”, suggerisce che la privazione può portare a una maggiore attenzione e desiderio per il cibo proibito. In altre parole, quanto più ci diciamo di non mangiare qualcosa, tanto più diventa allettante. Questo fenomeno può sfociare in un comportamento alimentare compensatorio, in cui ci concediamo strappi alla regola eccessivi per cercare di soddisfare il desiderio di ciò che ci siamo negati.

Inoltre, la privazione può avere un impatto sulla nostra salute mentale. La sensazione di negazione costante può portare a sentimenti di frustrazione, tristezza e irritabilità. Questi stati emotivi possono spesso scatenare episodi di alimentazione emotiva, in cui cerchiamo comfort e gratificazione attraverso il cibo.

Per affrontare l’effetto della privazione in modo sano ed equilibrato, è importante adottare un approccio più flessibile alla dieta post vacanza. Piuttosto che vedere il cibo come una minaccia da cui dobbiamo difenderci, possiamo imparare a vedere il cibo come una fonte di piacere e nutrimento. Questo può includere il permesso di indulgere in occasioni speciali e di godersi i pasti in compagnia, senza sentirsi in colpa. La chiave è trovare un equilibrio che favorisca il benessere sia fisico che mentale, anziché cadere nella trappola della privazione e del desiderio incontrollato.

Il vero significato di dieta e l’importanza dei professionisti

Il termine “dieta” spesso viene associato a restrizioni alimentari severe o a piani alimentari drastici per perdere peso rapidamente. Tuttavia, il vero significato di “dieta” è molto più ampio e sottolinea il concetto di nutrire il corpo in modo sano ed equilibrato. Una dieta dovrebbe essere considerata uno stile di vita sostenibile, basato su scelte alimentari che promuovano la salute a lungo termine, anziché una serie di regole temporanee da seguire solo per un breve periodo.

Affidarsi a professionisti della nutrizione, come dietologi o nutrizionisti, è un passo fondamentale per costruire un percorso alimentare adeguato alle proprie esigenze. Questi esperti hanno conoscenze approfondite sulla scienza dell’alimentazione e possono aiutare a creare un piano alimentare personalizzato, tenendo conto di fattori individuali come il metabolismo, le preferenze alimentari, le condizioni di salute e gli obiettivi specifici. Collaborando con un professionista, è possibile stabilire obiettivi realistici e sostenibili, evitando così le diete estreme che spesso portano a risultati temporanei e insoddisfacenti.

Inoltre, gli psicoterapeuti possono fornire supporto psicologico per affrontare le sfide legate all’alimentazione e all’autostima. Imparare a comprendere il proprio rapporto con il cibo e a gestire le emozioni legate all’alimentazione è essenziale per mantenere un approccio equilibrato alla dieta. Lavorando con le persone per stabilire obiettivi realistici e sostenibili, gli psicologi contribuiscono a promuovere la salute e il benessere a lungo termine, evitando i cicli di diete estreme.

Infine: concediti un margine

Una forma di ribellione positiva può essere quella di evitare le diete restrittive e concentrarsi invece su una visione più equilibrata del benessere. Lasciate da parte la bilancia e rinunciate alla voce critica che vi rimprovera. Concedetevi il lusso di un margine di tolleranza e godetevi la vita in modo più sereno. Il rientro al lavoro dopo le vacanze può essere difficile, ma prendersi il tempo per apprezzare la vita e il cibo senza sensi di colpa può fare la differenza.

Nel percorso delle diete e del benessere, è fondamentale coltivare un contatto più profondo con i nostri stati d’animo. Quando ci sentiamo impreparati, quando le nostre emozioni sono altrove, quando il dolore e la frustrazione si fanno sentire, dobbiamo imparare ad essere gentili con noi stessi. Dobbiamo concederci il lusso di coccolarci, anche attraverso il cibo, senza cadere nell’eccesso o nella privazione.

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Autostima e percezione sociale: come la fiducia in sé influenza il giudizio altrui

Nel contesto dell’approccio psicoterapeutico, l’autostima emerge come un elemento centrale nell’analisi dell’individuo e delle sue dinamiche interne. Questo concetto, definito come l’insieme dei giudizi valutativi che l’individuo formula su sé stesso, costituisce il fondamento su cui si costruisce l’identità e la percezione di sé (Battistelli, 1994).

Fin dai primi passi della nostra esistenza, sviluppiamo una percezione di noi stessi attraverso le interazioni con il mondo esterno. Questo processo di rispecchiamento sociale, secondo cui l’altro diviene uno specchio attraverso il quale definiamo noi stessi, modella il nostro concetto di sé. In questo modo, la nostra autopercezione si configura come un mosaico di influenze esterne che plasmano l’immagine che abbiamo di noi stessi.

Autostima e autoefficacia

La struttura del concetto di sé influisce direttamente sul nostro modo di affrontare e interpretare la realtà circostante. Le decisioni che prendiamo e le azioni che intraprendiamo sono guidate dalla nostra autostima, che agisce come filtro tra il nostro mondo interiore e il mondo esterno. Di conseguenza, l’autostima si trasforma in un processo in evoluzione continua, in cui le interazioni con l’ambiente esterno contribuiscono a rafforzare o mettere in discussione la nostra valutazione di sé.

Tuttavia, il processo di sviluppo dell’autostima non è statico. Attraverso un impegno costante nell’esplorazione di sé stessi e nell’adattamento ai cambiamenti, è possibile migliorare e perfezionare la percezione che abbiamo di noi stessi. Il lavoro su sé stessi implica liberarsi dai condizionamenti negativi accumulati nel corso del tempo e ristrutturare il dialogo interiore, aprendo la strada a un’autostima più salda e consapevole.

In questo contesto, la fiducia in sé stessi emerge come un pilastro cruciale. La fiducia, in questo caso, rappresenta la convinzione profonda che siamo in grado di affrontare le sfide e le prove che la vita ci presenta. È un’aspirazione interiore di sicurezza e certezza nelle proprie capacità. È interessante notare che l’autostima e la fiducia in sé stessi si alimentano reciprocamente. Mentre la fiducia in sé stessi può aumentare l’autostima, una buona autostima può favorire una maggiore fiducia nelle proprie abilità. Questo concetto è parallelo a quello di “percezione d’autoefficacia personale”, enfatizzato da alcuni autori, come Albert Bandura.

Nell’ambito psicoterapeutico, l’analisi dell’autostima e della fiducia in sé stessi rivela un intricato legame tra la percezione interna e il modo in cui l’individuo si relaziona con il mondo esterno. L’autostima infatti, oltre ad avere un impatto diretto sul nostro modo di interpretare la realtà, ha anche un’influenza significativa sull’immagine che proiettiamo agli altri. Il modo in cui ci percepiamo internamente si riflette inevitabilmente nei nostri comportamenti, espressioni e atteggiamenti verso gli altri.

Questo legame tra autostima e percezione altrui crea un ciclo interattivo: la nostra autostima influenza il nostro comportamento sociale, che a sua volta determina le reazioni e i feedback che riceviamo dagli altri. Questo circolo vizioso può essere interrotto attraverso l’autoconsapevolezza e il lavoro su sé stessi. L’autoanalisi delle proprie convinzioni limitanti e la pratica di nuovi modelli di comportamento possono contribuire a cambiare il modo in cui ci percepiamo e veniamo percepiti dagli altri. Attraverso l’adattamento e la crescita personale, è possibile trasformare un circolo vizioso in un circolo virtuoso, in cui la fiducia in sé stessi si traduce in interazioni più positive e in una maggiore autostima, alimentandosi reciprocamente per un benessere psicologico duraturo.

Bassa autostima, origini

Le radici della bassa autostima spesso si intrecciano con le esperienze dell’infanzia, creando un impatto duraturo sulla percezione di sé nell’età adulta. L’infanzia, in particolare, svolge un ruolo cruciale nella formazione dell’autostima. Le interazioni con genitori, caregiver e coetanei possono lasciare un’impronta profonda nella psiche dell’individuo. Ad esempio, un ambiente familiare in cui prevale la critica e l’insicurezza può generare un’autostima fragile e negativa. Similmente, il bullismo o l’abuso subito durante l’infanzia possono influenzare la percezione di sé, erodendo la fiducia e promuovendo pensieri negativi.

L’elaborazione di queste esperienze attraverso la terapia può essere un passo cruciale verso la guarigione e il rafforzamento dell’autostima. Con il sostegno di un terapeuta competente, gli individui possono apprendere nuovi modi di affrontare il passato, riscoprire la propria forza interiore e sviluppare una visione più equilibrata e positiva di sé stessi.

Autostima e salute mentale

Una bassa autostima può generare un complesso spettro di implicazioni negative per la salute mentale. Queste implicazioni si riflettono in una serie di sintomi e sfide che possono erodere il benessere psicologico e ostacolare il funzionamento globale dell’individuo.

È infatti spesso associata a sintomi depressivi, caratterizzati da umore depresso persistente, perdita di interesse per le attività, fatica e sentimenti di inutilità. Questa relazione è radicata nell’autovalutazione negativa che spesso accompagna la bassa autostima, contribuendo all’insorgenza di emozioni depressive. Inoltre può innescare manifestazioni ansiose, evidenziando un senso di inadeguatezza e una paura costante di essere giudicati negativamente dagli altri. Questa ansia sociale può limitare le interazioni sociali e generare sentimenti di isolamento, alimentando ulteriormente il ciclo negativo.

Le persone con bassa autostima possono anche manifestare distorsioni cognitive, ossia percezioni distorte della realtà. Questi schemi di pensiero possono amplificare la negatività interna, alimentando la critica e l’autosvalutazione. La continua autocritica può sfociare in un atteggiamento di autosabotaggio, con l’evitamento delle opportunità di crescita personale e professionale. I disturbi alimentari e l’abuso di sostanze possono anche derivare da una bassa autostima, poiché l’individuo cerca di far fronte ai sentimenti di vuoto e insoddisfazione attraverso comportamenti distruttivi. Questi comportamenti possono portare a un circolo vizioso in cui la bassa autostima alimenta i sintomi e viceversa.

È importante sottolineare che queste conseguenze mentali negative possono interagire e amplificarsi reciprocamente, creando un quadro complesso di difficoltà psicologiche. La terapia psicologica svolge un ruolo cruciale nell’affrontare queste implicazioni, lavorando per ristrutturare le credenze limitanti, sviluppare strategie di coping più sane e promuovere la costruzione di un’autostima più resiliente e adattativa.

Costruire la fiducia in sé stessi

La costruzione della fiducia in sé stessi è un processo fondamentale all’interno dell’ambito psicoterapeutico, rivestendo un ruolo cruciale nell’evoluzione individuale e nel miglioramento del benessere psicologico. Questo processo richiede un impegno consapevole, pazienza e una profonda auto-riflessione, focalizzandosi sulla sfida e il superamento delle convinzioni limitanti che possono erodere l’autostima.

Un primo passo nella costruzione della fiducia in sé stessi consiste nell’analisi critica delle credenze negative che si radicano nel subconscio. La psicoterapia offre uno spazio sicuro per esplorare e mettere in discussione queste convinzioni autodistruttive, permettendo all’individuo di sostituirle con pensieri più realistici e positivi. Questa ristrutturazione cognitiva aiuta a liberarsi da schemi mentali auto-sabotanti, aprendo la strada a un’autostima più solida.

Inoltre, attraverso il lavoro terapeutico, gli individui possono esplorare le proprie origini, esperienze passate e influenze sociali che hanno contribuito a modellare la loro percezione di sé. Questa consapevolezza permette di affrontare i fattori che potrebbero aver contribuito alla mancanza di fiducia, favorendo un processo di accettazione e di rielaborazione del proprio sé.

Inoltre, è possibile adottare una serie di strategie mirate:

  • Pratica dell’autocompassione: Trattare sé stessi con gentilezza e tolleranza, accettando le imperfezioni senza giudizio critico. La terapia può aiutare a riconoscere e modificare i modelli di pensiero autodistruttivi.
  • Focalizzazione sulle proprie forze: Identificare e celebrare i successi personali, grandi o piccoli, per costruire una solida base di fiducia in sé stessi.
  • Pratica della mindfulness: Coltivare l’attenzione consapevole al momento presente, smorzando il dialogo interno critico.
  • Coltivare relazioni positive: Costruire legami interpersonali solidali e positivi può contribuire a una percezione più positiva di sé. La terapia di gruppo offre un contesto per condividere esperienze ed ottenere feedback costruttivo.
  • Esplorazione dell’autenticità: Accettare e abbracciare la propria autenticità, riconoscendo che la perfezione non è l’obiettivo.
  • Sfida delle convinzioni limitanti: Indagare e ristrutturare le convinzioni negative che minano l’autostima. La terapia può essere utile nell’affrontare queste convinzioni dannose.
  • Crescita personale continua: Considerare l’autostima come un percorso in evoluzione, impegnandosi costantemente nel miglioramento personale.

Conclusione

In definitiva, l’aumento dell’autostima richiede l’adozione di un approccio multidimensionale che coinvolga il lavoro su pensieri, emozioni e relazioni interpersonali. La crescita personale, nel contesto della psicoterapia, è fortemente legata alla teoria dell’autorealizzazione proposta da Maslow. L’autorealizzazione, il vertice della piramide dei bisogni di Maslow, si riferisce al processo di diventare la versione più autentica di sé stessi e di sviluppare appieno le proprie potenzialità. Attraverso la terapia, gli individui possono intraprendere questo percorso, liberandosi da vincoli emotivi, connettendosi con il loro nucleo interiore e creando una vita più significativa e soddisfacente.

“L’autostima non è narcisismo; è un prerequisito per l’amore sano e l’empatia verso gli altri.”

– Nathaniel Branden

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Un approccio immersivo per la gestione di ansia e stress: RV e RA come strumenti di trattamento

I disturbi d’ansia sono tra i disturbi psichiatrici più comuni con un’attuale prevalenza globale del 7,3%, che va dal 5,3% nei paesi africani al 10,4% nei paesi europei/anglosassoni. Lo sviluppo dei disturbi d’ansia è multifattoriale. Uno dei fattori predisponenti è una maggiore suscettibilità alla paura, che può essere causata da fattori biologici oltre che psicosociali. Eventi o condizioni della vita corrispondenti possono innescare una reazione di paura esagerata basata su questa disposizione. Strategie di coping sfavorevoli o reazioni dell’ambiente spesso portano all’escalation o alla perpetuazione dei sintomi.

Negli ultimi anni, la tecnologia ha aperto nuove possibilità per il trattamento dell’ansia, e la realtà aumentata e la realtà virtuale si sono rivelate strumenti promettenti nell’ambito della psicoterapia.

“La realtà virtuale offre un ambiente controllato e sicuro dove i pazienti possono affrontare gradualmente le situazioni ansiose, apprendere nuove strategie di coping e ristrutturare le loro reazioni emotive.”

Albert Rizzo

Riduzione dello stress e rilassamento

La realtà aumentata offre un potenziale promettente per creare esperienze rilassanti e favorire il benessere emotivo. Grazie alle sue capacità di sovrapporre elementi digitali al mondo reale, può trasportare gli utenti in ambienti virtuali tranquilli e sereni, creando un’esperienza immersiva che aiuta a ridurre lo stress e promuovere una sensazione di calma e relax, così come anche la realtà virtuale può immergere il soggetto in un ambiente completamente digitale e personalizzato.

Ecco come RA e RV possono essere utilizzate per creare esperienze rilassanti e promuovere il benessere emotivo:

  • Immersioni in ambienti naturali: possono simulare scenari di ambienti naturali, come spiagge, boschi, cascate o prati, consentendo agli utenti di immergersi in un’atmosfera rilassante e lontana dallo stress quotidiano.
  • Meditazione guidata: possono fornire sessioni di meditazione guidata, durante le quali gli utenti vengono guidati attraverso esercizi di respirazione, visualizzazioni e consapevolezza del corpo. Questo tipo di esperienza può aiutare a ridurre l’attivazione del sistema nervoso simpatico (responsabile della risposta di “lotta o fuga”) e promuovere invece il rilassamento attraverso il sistema nervoso parasimpatico.
  • Biofeedback e rilassamento: la realtà aumentata può essere utilizzata insieme a sensori fisiologici per fornire feedback in tempo reale sullo stato di rilassamento del paziente. Ad esempio, la tecnologia potrebbe mostrare all’utente i cambiamenti nella frequenza cardiaca, nella respirazione o nella tensione muscolare mentre si sperimenta un ambiente rilassante. Questo tipo di biofeedback aiuta gli utenti a diventare più consapevoli delle loro reazioni allo stress e ad apprendere tecniche per rilassarsi.
  • Ambienti personalizzati: consentono di creare esperienze rilassanti personalizzate in base alle preferenze e alle esigenze del paziente. La personalizzazione delle esperienze aumenta l’efficacia della terapia e il coinvolgimento del paziente.
  • Riduzione dell’ansia e gestione dello stress: RA e RV possono essere utilizzate come strumenti complementari nella gestione dell’ansia e dello stress. Attraverso l’esposizione controllata a situazioni virtuali che innescano ansia, i pazienti possono imparare a sviluppare strategie di coping e a familiarizzare con le proprie reazioni emotive.

Meditazione guidata

L’utilizzo della realtà aumentata (RA) e della realtà virtuale (RV) nel campo del rilassamento e della meditazione guidata sta guadagnando sempre più popolarità grazie ai suoi benefici nell’aiutare le persone a ridurre lo stress e promuovere il benessere emotivo. Diverse ricerche hanno dimostrato l’efficacia di queste tecnologie nell’indurre uno stato di calma e rilassamento profondo. Ad esempio, uno studio condotto da Pallavicini et al. (2016) ha esaminato l’impatto di una sessione di meditazione guidata in ambiente VR su un campione di individui con elevati livelli di ansia e stress. I risultati hanno mostrato una significativa riduzione dei livelli di ansia e un miglioramento del tono dell’umore dopo l’esperienza di meditazione guidata.

Gli ambienti immersivi attivano una serie di regioni cerebrali coinvolte nella percezione, nell’emozione e nell’apprendimento. Durante l’esperienza in un ambiente virtuale, le aree visive primarie e associative del cervello si attivano per elaborare le informazioni visive provenienti dalla simulazione. Questa attivazione può aumentare il coinvolgimento dell’utente nell’ambiente virtuale, creando una sensazione di presenza e immersione. Inoltre, l’attivazione delle regioni cerebrali legate alle emozioni gioca un ruolo cruciale nell’esperienza immersiva. L’interazione con stimoli visivi, uditivi e tattili all’interno dell’ambiente virtuale può influenzare l’attivazione dell’amigdala, una struttura cerebrale coinvolta nella risposta emotiva.

L’utilizzo strategico di stimoli rilassanti, come paesaggi sereni o suoni tranquillizzanti, può contribuire a modulare la risposta emotiva dell’individuo, facilitando il rilassamento e la riduzione dell’ansia.

L’uso di RA e RV per il rilassamento e la meditazione guidata sta cambiando il modo in cui le persone si avvicinano alla pratica della mindfulness, offrendo una gamma di esperienze uniche che possono essere adattate alle preferenze individuali. Con ulteriori ricerche e sviluppi tecnologici in corso, il futuro di questa tendenza sembra promettente, con l’obiettivo di fornire a un pubblico sempre più vasto strumenti per affrontare lo stress e migliorare il proprio benessere emotivo attraverso l’immersione in ambienti rilassanti e ristoratori.

Esposizione graduale

RA e RV si integrano in modo prezioso con la terapia per trattare l’ansia, in particolare attraverso l’approccio dell’esposizione graduale. Questa tecnica terapeutica è ampiamente riconosciuta per aiutare i pazienti a fronteggiare gradualmente situazioni o oggetti che provocano ansia, permettendo loro di affrontare le paure in modo controllato e sicuro. La plasticità cerebrale, un concetto cruciale nelle neuroscienze, gioca un ruolo fondamentale nell’adattamento e nell’apprendimento. L’esposizione graduale e controllata a situazioni ansiose nell’ambiente virtuale può portare a cambiamenti strutturali e funzionali nel cervello, influenzando positivamente la risposta dell’individuo allo stress. Ricerche suggeriscono che l’esposizione a situazioni di ansia tramite RV può facilitare l’apprendimento di nuove strategie di coping e la ristrutturazione delle reti neurali coinvolte nella regolazione delle emozioni.

I terapeuti possono creare ambienti virtuali sicuri e controllabili, che offrono una simulazione accurata delle situazioni temute, ma all’interno di un contesto protetto. Ciò consente ai pazienti di esplorare le proprie paure senza il rischio di confrontarsi direttamente con la situazione reale, fornendo una valida opportunità di apprendimento e crescita emotiva.

Un aspetto cruciale dell’esposizione graduale è la progressione. Con la realtà aumentata, i pazienti possono iniziare con stimoli poco minacciosi e aumentare gradualmente la sfida man mano che aumenta la loro fiducia e capacità di gestire l’ansia. Questa gradualità consente di evitare sovraccarichi emotivi, assicurando un processo terapeutico più efficace.

Uno dei vantaggi distintivi della realtà aumentata o della realtà virtuale in questo contesto è la sicurezza emotiva che offrono: sapendo di trovarsi in un ambiente virtuale, i pazienti si sentono più al sicuro nello sperimentare le loro paure. Ciò consente loro di concentrarsi meglio sulla gestione dell’ansia e sull’apprendimento di nuove strategie di coping senza essere travolti dalla paura delle conseguenze negative. I terapeuti infatti possono insegnare ai pazienti strategie adeguate ad affrontare l’ansia e gestire le emozioni associate, quali tecniche di rilassamento, respirazione profonda, distrazione e altre abilità cognitive e comportamentali utili per affrontare l’ansia in modo efficace.

Trattamento dell’ansia sociale

Il disturbo d’ansia sociale (SAD “Social Anxiety Disorder”) è caratterizzato da una paura eccessiva di valutazioni negative e rifiuto da parte degli altri e da una paura costante di imbarazzo o umiliazione e la terapia dell’esposizione in realtà virtuale è diventata uno strumento terapeutico importante per simulare situazioni sociali rilevanti all’interno di un contesto terapeutico.

Studi come quello condotto da Gorini et al. (2010) hanno esaminato l’efficacia dell’esposizione virtuale tramite RV per ridurre l’ansia sociale. I partecipanti hanno sperimentato simulazioni di situazioni sociali personalizzate all’interno di ambienti virtuali, ottenendo significativi miglioramenti nelle abilità di comunicazione sociale e una riduzione dell’ansia.

Un altro studio di Falconer et al. (2016) ha esplorato l’efficacia della realtà aumentata nel trattamento della fobia sociale. L’utilizzo della RA ha consentito ai partecipanti di affrontare situazioni sociali virtuali all’interno di ambienti reali, con sfide graduali e personalizzate. I risultati hanno mostrato un effetto positivo sulla riduzione dell’ansia sociale e un miglioramento della fiducia dei partecipanti nell’affrontare situazioni temute nella vita reale.

Oltre all’ambito clinico, la RA e la RV hanno trovato applicazioni anche nel mondo aziendale. Diverse aziende utilizzano queste tecnologie per migliorare le competenze sociali dei propri dipendenti. Ad esempio, i programmi di formazione e sviluppo professionale sfruttano la RA per simulare situazioni di riunioni e trattative, consentendo ai dipendenti di esercitarsi in modo efficace e sicuro. Questo tipo di terapia virtuale offre un ambiente protetto per sviluppare abilità di comunicazione, negoziazione e leadership, aiutando i dipendenti a sentirsi più sicuri e preparati per affrontare situazioni reali con maggiore fiducia.

Conclusione

Il potenziale di queste tecnologie nel campo della salute mentale è ancora in fase di esplorazione, ma le prospettive future sono interessanti. L’adozione della RV e della RA potrebbe offrire nuovi orizzonti per aiutare un numero sempre maggiore di persone a superare le sfide dell’ansia e dello stress, migliorando così il loro benessere emotivo e la qualità della vita.

“La realtà virtuale può offrire un modo altamente efficace per esporre i pazienti alle situazioni temute e consentire loro di imparare a gestirle in un ambiente controllato.”

Stéphane Bouchard

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Oltre gli stereotipi: il tabù dei disturbi alimentari maschili e il ruolo delle norme di genere

Per lungo tempo, il focus sui disturbi alimentari è stato incentrato principalmente sulle donne, ma negli ultimi anni è diventato evidente quanto anche la popolazione maschile sia coinvolta in questa problematica. La ricerca dell’ideale corpo esemplare e la preoccupazione per l’aspetto fisico hanno portato anche i ragazzi e gli uomini a sviluppare disturbi alimentari.

Secondo dati recenti, si stima che il 25% delle persone che soffrono di disturbi alimentari sia costituito da uomini. Tuttavia, è importante sottolineare che questa cifra potrebbe essere sottostimata, poiché gli uomini tendono a sottoporsi meno frequentemente a diagnosi e trattamenti per tali disturbi a causa dello stigma sociale e delle aspettative di genere.

“La società ha posto un’enorme enfasi sul corpo maschile muscoloso e perfetto, ma ciò può portare a gravi problemi di immagine corporea e disturbi alimentari tra gli uomini.”

Dr. Stuart Murray

La rappresentazione dell’immagine corporea maschile

La rappresentazione dell’immagine corporea maschile ha sempre privilegiato la forza, l’attività e il coraggio. Questa concezione del corpo maschile come “tempio” ha radici antiche, come nell’Antica Grecia, dove esisteva una netta differenziazione tra l’essere maschile e l’essere mascolino. La mascolinità era strettamente connessa alla virtù e al coraggio, attributi esclusivamente associati agli uomini. Questo modello educativo basato sulla formazione al combattimento ha contribuito a forgiare la corporeità maschile, ma solo di recente sono emersi i “costi invisibili” che gli adolescenti maschi devono affrontare per raggiungere l’ideale di mascolinità vincente.

La pressione sociale per conformarsi a un corpo muscoloso e atletico può portare a comportamenti patologici, come l’eccessivo esercizio fisico, il controllo estremo dell’alimentazione o l’uso di sostanze per migliorare le prestazioni. Questi comportamenti possono essere dannosi per la salute fisica e mentale, causando problemi come l’anoressia inversa o la vigoressia.

Inoltre, questa concezione limitata della mascolinità ha avuto un impatto negativo sulla salute mentale degli uomini, poiché possono sentirsi obbligati a nascondere le proprie vulnerabilità e le emozioni, cercando di mostrarsi sempre forti e imperturbabili. Questo rigido schema di mascolinità può impedire agli uomini di esprimere liberamente i propri sentimenti e di chiedere aiuto quando ne hanno bisogno, contribuendo a una cultura dell’isolamento emotivo.

Vigorexia

La vigorexia, nota anche come disturbo della bigoressia o anoressia inversa, rappresenta una forma particolarmente preoccupante di disturbo alimentare che affligge principalmente gli uomini. Inserita nel DSM-V tra i “Disturbi Evitanti/Restrittivi dell’assunzione di cibo” e classificata come un disturbo dismorfofobico, la vigorexia è caratterizzata da una preoccupazione ossessiva per l’aspetto fisico, con particolare attenzione all’incremento della massa muscolare. Gli individui affetti da vigorexia intraprendono uno stile di vita caratterizzato da lunghi e intensi allenamenti fisici, seguiti da restrizioni alimentari e l’uso di integratori o sostanze steroidee per raggiungere il loro obiettivo di muscolatura idealizzata.

Le radici della vigorexia possono essere rintracciate nel sistema socioculturale che per secoli ha privilegiato un ideale di mascolinità basato sulla forza, la virilità e la muscolarità. L’immagine di un corpo muscoloso e scolpito è stata associata alla rappresentazione dell’uomo forte e dominante, spingendo molti uomini a identificare la propria mascolinità con l’aspetto fisico. Questo ideale di mascolinità può diventare così pervasivo e costrittivo da portare alcuni individui a sviluppare un’ossessione patologica per l’aspetto fisico, con una costante preoccupazione per il raggiungimento e il mantenimento di un livello di muscolarità ritenuto accettabile.

È spesso alimentata anche dall’influenza dei media e delle industrie del fitness, che promuovono immagini irrealistiche e ideali di mascolinità, creando aspettative inarrivabili per molti uomini. L’ossessione per l’aspetto fisico può quindi trasformarsi in un circolo vizioso, in cui il bisogno di raggiungere uno standard di muscolarità sempre più elevato diventa sempre più pressante, portando a comportamenti sempre più estremi e dannosi per la salute.

Gli individui affetti da vigorexia possono sperimentare gravi conseguenze sulla loro salute mentale e fisica. La costante insoddisfazione per il proprio aspetto fisico può portare a bassa autostima, depressione, ansia e disturbi dell’umore. Inoltre, gli eccessivi allenamenti e le restrizioni alimentari possono provocare problemi fisici, come danni muscolari, problemi cardiaci e disturbi metabolici.

Per affrontare con successo la vigorexia e promuovere una sana immagine corporea maschile, è essenziale sfidare gli ideali irrealistici di mascolinità e promuovere una cultura dell’accettazione di sé e del corpo. Gli uomini devono essere incoraggiati a esplorare e abbracciare la propria identità di genere in modo autentico, senza essere definiti da stereotipi o pressioni sociali. La consapevolezza e la sensibilizzazione riguardo alla vigorexia devono essere aumentate, affinché si possa offrire il supporto necessario a coloro che ne sono affetti, promuovendo un ambiente in cui la salute mentale e fisica degli uomini sia preservata e valorizzata. Solo attraverso un approccio inclusivo e compassionevole possiamo sperare di superare gli effetti negativi degli ideali di mascolinità distorti e sostenere il benessere di tutti gli individui.

Disturbi alimentari maschili e orientamento sessuale

La comprensione dei disturbi alimentari maschili richiede anche una profonda considerazione degli orientamenti sessuali, poiché essi possono essere intrinsecamente legati agli stereotipi culturali e alla conformità di genere. Le ricerche hanno messo in luce una maggiore prevalenza dei disturbi alimentari tra gli uomini appartenenti a minoranze sessuali, oltre a rilevare una serie di fattori di rischio associati, quali l’oggettificazione del corpo, il desiderio di magrezza, l’esperienza di vittimizzazione e la presenza di condizioni psichiatriche coesistenti.

Tuttavia, è importante sottolineare che le indagini che esplorano le disparità di orientamento sessuale nei sintomi dei disturbi alimentari sono ancora piuttosto limitate. Pertanto, è necessaria una ricerca più estesa e approfondita in questa area per comprendere appieno l’interconnessione tra orientamento sessuale, norme di genere e la psicopatologia dell’alimentazione disordinata. Un maggiore sforzo nel raccogliere dati e condurre indagini approfondite può aiutare a gettare luce su questa dimensione spesso trascurata dei disturbi alimentari maschili.

Parallelamente, è essenziale condurre ulteriori ricerche per individuare i fattori di rischio specifici della psicopatologia dell’alimentazione disordinata all’interno delle popolazioni transgender, dove è stata segnalata un’elevata prevalenza di tali disturbi. Comprendere le sfide uniche che gli individui transgender affrontano riguardo all’immagine corporea e all’identità di genere può consentire lo sviluppo di strategie di intervento mirate e di programmi di trattamento adeguati a soddisfare le loro esigenze specifiche.

Quali sono i segnali da monitorare per rilevare questa forma di disturbo?

I soggetti colpiti tendono a frequentare costantemente palestre o luoghi in cui possono fare esercizio fisico. Ciò che li contraddistingue non è solo il numero di sedute d’allenamento settimanali, che può essere elevato anche in soggetti senza il disturbo, ma il profondo stress che sperimentano nel caso di una sessione saltata o nell’assunzione irregolare di integratori, spesso ottenuti online e talvolta illegalmente. Questa compulsiva pratica sportiva è spesso accompagnata dall’uso indiscriminato di sostanze proibite, mescolate senza supervisione medica con integratori, anabolizzanti e steroidi, acquistati da fonti poco affidabili online.

Le persone con vigoressia sono caratterizzate dall’eccesso e dalla smodata dedizione a questa pratica, che può portarli all’isolamento sociale, concentrandosi solo sugli altri membri del gruppo di allenamento, e a trascurare famiglia, scuola o lavoro. L’ossessivo controllo alimentare è un altro aspetto distintivo.

A confronto con l’anoressia nervosa, maggiormente nota e comune tra le donne, l’anoressia inversa si presenta con il terrore di non avere abbastanza muscoli, di “non essere abbastanza grandi” ed è più frequentemente riscontrata negli uomini.

Spesso, le persone affette da vigoressia non riconoscono il disturbo e quindi non cercano aiuto da uno psicoterapeuta. In questi casi, sono spesso i familiari o gli amici più intimi, preoccupati per l’eccessiva dedizione dell’individuo a questa pratica, a cercare il supporto di un professionista per comprendere meglio la situazione e aiutare il loro caro.

Infine, è importante sottolineare che sebbene alcuni segnali come numerosi allenamenti settimanali, ossessivo controllo dell’alimentazione e dispercezione corporea non dovrebbero allarmare immediatamente, è essenziale monitorarli attentamente e segnalarli a uno psicoterapeuta per una valutazione approfondita e, se necessario, intraprendere un percorso di intervento adeguato. Un intervento tempestivo e mirato può essere fondamentale per affrontare il disturbo e migliorare la qualità della vita del soggetto coinvolto.

Conclusione

Per supportare al meglio i soggetti maschili che lottano contro i disturbi alimentari, è essenziale adottare un approccio triplice che si concentri sull’individuazione, l’intervento e la ricerca, con l’obiettivo primario di destigmatizzare tali disturbi. In primo luogo, occorre prendere in considerazione i fattori di contesto socioculturale, le pressioni psicologiche e il ruolo dell’espressione di genere nei confronti degli uomini e della mascolinità in relazione ai disturbi alimentari. Diverse prove empiriche hanno rivelato che i maschi rischiano di essere diagnosticati in modo erroneo quando cercano cure specializzate, determinando un rafforzamento del disturbo e un prolungamento della sua durata. Di conseguenza, è fondamentale sviluppare linee guida mediche, psicologiche e psichiatriche più inclusive, considerando le specifiche esperienze e necessità degli uomini con disturbi alimentari, come ad esempio le implicazioni del testosterone, l’uso di steroidi, le complicazioni cardiovascolari e osteoporotiche.

In secondo luogo, un’attenzione clinica mirata potrebbe giovare di interventi adattati all’esperienza maschile. Gli specialisti devono ricevere formazione approfondita sui disturbi concomitanti e sviluppare approcci personalizzati che tengano in considerazione le sfide specifiche che gli uomini affrontano. Interventi mirati, come gruppi di sostegno che affrontano le problematiche dell’immagine corporea maschile, programmi sull’attività fisica, l’orientamento sessuale e le questioni riguardanti le prestazioni sessuali, possono dimostrarsi preziosi per il trattamento e il recupero di questi individui.

In terzo luogo, occorre superare l’emarginazione dei maschi nella ricerca sui disturbi alimentari. La letteratura scientifica su questo tema ha mostrato una mancanza di rappresentazione degli uomini in diverse fasce d’età, culture, etnie e ambiti neurobiologici, nonché la fisiopatologia dei disturbi alimentari.
È quindi cruciale incentivare e sostenere la ricerca specificamente dedicata ai disturbi alimentari maschili, al fine di ottenere una maggiore comprensione e di sviluppare nuove strategie di trattamento adeguate alle loro esigenze.

“I disturbi alimentari maschili spesso passano inosservati a causa dei pregiudizi culturali che li circondano. Riconoscere l’esistenza e l’importanza di questi disturbi è essenziale per garantire una diagnosi e un trattamento adeguati.”

Dr. Christopher G. Fairburn

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Il metaverso nella salute mentale: le potenzialità trasformative del trattamento terapeutico virtuale

Nell’era delle nuove tecnologie, l’interazione tra la psicoterapia e l’innovazione digitale sta aprendo nuovi orizzonti nel campo della salute mentale. Le tecnologie emergenti, come il metaverso e la realtà virtuale, stanno trasformando il modo in cui le persone affrontano le sfide psicologiche e accedono ai servizi di salute mentale.

“Le nuove tecnologie possono rivoluzionare il modo in cui forniamo servizi di salute mentale, offrendo soluzioni accessibili e personalizzate per coloro che ne hanno bisogno.”

― Pamela Rutledge

Trasformatività

Secondo uno studio di Riva G. et al (2021), le nuove tecnologie possono svolgere un ruolo trasformativo nell’esperienza umana, influenzando profondamente la nostra percezione di noi stessi, degli altri e del mondo che ci circonda. L’esperienza trasformativa si distingue dal concetto di semplice cambiamento, poiché rappresenta un mutamento profondo e duraturo nell’individuo, che coinvolge sia la dimensione epistemica che personale. Queste esperienze portano a una revisione profonda del modo di essere e di costruire la realtà, aprendo nuove prospettive e significati.

Nel contesto della psicoterapia nel metaverso, il concetto di trasformatività diventa particolarmente rilevante. Il metaverso offre uno spazio virtuale in cui le persone possono sperimentare nuove identità e modi di interagire, creando opportunità per la trasformazione personale e il cambiamento psicologico. Riva sostiene che la tecnologia può agire come un amplificatore delle esperienze umane, consentendo una maggiore consapevolezza di sé, l’esplorazione di nuove prospettive e la costruzione di nuovi significati.

La trasformatività delle nuove tecnologie nel contesto della psicoterapia nel metaverso si basa su tre elementi fondamentali:

  • Presenza: Il metaverso offre un’esperienza diversa e straordinaria, in quanto agisce sulle vie neuronali e ha un impatto diretto sul cervello. Grazie alla sua capacità di creare ambienti virtuali realistici e interattivi, il metaverso consente ai partecipanti di immergersi completamente nello spazio virtuale, generando un coinvolgimento emotivo e cognitivo più profondo rispetto ad altre modalità terapeutiche. Questa esperienza unica e potente influisce sul funzionamento del cervello, permettendo un’interazione terapeutica più intensa e significativa.
  • Personalizzazione: Consente ai partecipanti di creare avatar personalizzati che rappresentano una versione virtuale di sé stessi. In un contesto terapeutico adeguatamente guidato, questa personalizzazione consente una maggiore espressione emotiva e identificazione, facilitando l’esplorazione dei problemi e l’elaborazione delle esperienze traumatiche in un ambiente protetto e sicuro. Il terapeuta svolge un ruolo cruciale nell’assicurare che l’esperienza virtuale sia integrata in modo appropriato nel percorso terapeutico, garantendo che i risultati ottenuti nel metaverso si traducano in benefici reali per il paziente.
  • Condivisione sociale: Le persone possono interagire con gli altri attraverso gli avatar e partecipare a comunità virtuali di sostegno. Questa condivisione sociale può promuovere un senso di appartenenza, di comprensione reciproca e di supporto emotivo, creando un ambiente terapeutico inclusivo e empatico.

Metaverso, gli studi esistenti

Già oggi esistono spazi dedicati alla salute mentale all’interno del metaverso, offrendo una piattaforma in cui le persone possono riunirsi per sessioni di terapia di gruppo, con o senza la presenza di esperti del settore. Inoltre, sono stati creati ambienti immersivi in cui gli individui possono praticare consapevolezza, meditazione e yoga, contribuendo così al benessere psicofisico.

Numerose aziende hanno intrapreso lo sviluppo di cliniche virtuali per la salute mentale, mettendo a disposizione professionisti del settore che offrono assistenza in tempo reale e anche i governi di diversi paesi hanno avviato iniziative volte a creare associazioni di consulenza e terapia in realtà virtuale, al fine di fornire servizi nel metaverso. Queste cliniche virtuali rappresenteranno un’opportunità preziosa per le persone con accesso limitato all’assistenza sanitaria mentale, a causa di disabilità, restrizioni geografiche o limiti di tempo, nonché per coloro che preferiscono mantenere l’anonimato, considerando lo stigma ancora presente nei confronti delle malattie mentali.

Durante la pandemia da COVID-19 del 2020 abbiamo tutti sperimentato delle condizioni di isolamento che soggetti vulnerabili come gli anziani sperimentano nel quotidiano anche fuori dalla pandemia. Persone che spesso si trovano limitate nella loro capacità di socializzare con familiari e amici per diverse ragioni. Questa situazione si applica anche agli individui con disabilità fisiche, che spesso sperimentano frustrazione a causa della loro mancanza di indipendenza.

Infine, va sottolineato che alcuni studi hanno esplorato l’utilizzo della realtà virtuale nel trattamento dei disturbi psicotici, ma è necessario esercitare cautela e condurre ulteriori ricerche per definirne i limiti e gli effetti a lungo termine. È noto che molti pazienti affetti da psicosi possono sperimentare livelli regolari o elevati di ansia, che possono condurre a comportamenti di evitamento nei confronti di ambienti che suscitano angoscia e attacchi di panico. Recentemente, sono stati pubblicati i risultati di uno studio controllato randomizzato che ha valutato l’efficacia della terapia cognitiva basata sulla realtà virtuale nel ridurre la vulnerabilità e l’ansia nelle persone affette da psicosi. I risultati hanno dimostrato che la terapia VR ha portato a un miglioramento significativo dei sintomi di agorafobia dopo 6 settimane di trattamento. È importante sottolineare che maggiore è stata l’intensità dei sintomi, maggiore è stata l’efficacia di questo approccio terapeutico. Tuttavia, mentre questi risultati preliminari sono promettenti, è necessario condurre ulteriori studi per comprendere appieno l’impatto della realtà virtuale nel trattamento dei disturbi psicotici e stabilire l’efficacia a lungo termine. In un altro studio, quindici individui affetti da grave depressione sono stati immersi in simulazioni virtuali della durata di 3-8 minuti, in cui esercitavano la compassione confortando un avatar piangente con parole gentili, per poi ricevere a loro volta una risposta compassionevole da un altro corpo virtuale. Questo intervento ha portato a significative riduzioni della gravità della depressione, oltre ad aumenti significativi nell’autocompassione.

Rischi e accoglienza

Nel contesto dell’innovazione tecnologica e del suo impatto sulla salute mentale, il metaverso sta emergendo come una nuova frontiera nella fornitura di servizi di consulenza e supporto psicologico. Tuttavia, è fondamentale distinguere tra l’utilizzo del metaverso con consulente o terapeuta virtuale e la presenza invece di operatori reali, terapeuti qualificati, nello spazio virtuale. Questa distinzione è cruciale per garantire un adeguato livello di autenticità e per affrontare le preoccupazioni legate alla sostituzione dell’interazione umana diretta.

Se guardiamo alla storia delle innovazioni tecnologiche, possiamo osservare un modello comune in cui l’iniziale scetticismo viene seguito da una rivoluzione che cambia il nostro modo di vivere e interagire. Ad esempio, l’avvento di Internet ha suscitato dubbi sulle sue potenzialità e rischi, ma nel corso degli anni ha rivoluzionato numerosi settori, compreso l’accesso alle risorse di salute mentale. La ricerca condotta da Anderson et al. nel 2019 ha dimostrato che le terapie online possono essere altrettanto efficaci delle terapie tradizionali, aprendo la strada a nuovi approcci terapeutici innovativi come il metaverso.

È comprensibile che sorgano dubbi e incertezze riguardo all’efficacia e all’esperienza autentica offerta dai servizi di salute mentale nel metaverso. Un’indagine condotta da Thomson et al. nel 2023 ha evidenziato che alcuni partecipanti esprimono preoccupazioni sulla capacità degli operatori virtuali di comprendere appieno le sfumature emotive e l’esperienza individuale del paziente. Tuttavia, in questi studi viene fatto riferimento a operatori virtuali, non all’efficacia dei terapeuti reali che operano tramite gli spazi del metaverso. Secondo la ricerca condotta da Lee et al. nel 2022 infatti, nonostante le differenze nell’interazione si possono ancora sviluppare l’empatia e la comprensione e queste possono essere mantenute nel contesto virtuale tra terapeuta e paziente. Uno studio di progettazione condotto da Wang et al. nel 2023 ha dimostrato come l’uso della realtà virtuale nel metaverso possa migliorare l’immersione emotiva e la sensazione di presenza, aprendo nuove opportunità nel campo della psicoterapia.

L’impiego del metaverso come strumento terapeutico richiede una gestione oculata e competente, in cui i terapeuti reali siano in grado di fornire il sostegno necessario per affrontare le sfide e garantire un’esperienza terapeutica significativa e sicura.

Conclusione

In conclusione, la terapia nel metaverso non intende sostituire la terapia tradizionale, ma piuttosto offrire una soluzione complementare e accessibile per coloro che necessitano di supporto psicologico. L’implementazione oculata e competente di questa tecnologia innovativa può fornire un’alternativa preziosa per migliorare il benessere mentale e garantire che nessuno sia escluso dalla possibilità di ricevere il sostegno psicologico di cui ha bisogno.

“La realtà virtuale offre l’opportunità di creare esperienze terapeutiche altamente immersive, permettendo ai pazienti di affrontare le proprie paure e problemi in un ambiente controllato e sicuro.”

Brenda K. Wiederhold

Bibliografia

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Esplorando la fame nervosa: il legame tra emozioni e alimentazione

La fame nervosa è un fenomeno complesso che coinvolge la relazione tra le emozioni e il comportamento alimentare. Le persone che la sperimentano spesso avvertono una forte necessità di mangiare anche quando non hanno una reale sensazione di fame fisica. Questo desiderio di cibo è solitamente scatenato da fattori emotivi, come lo stress, la tristezza, l’ansia o la noia. In questi casi, il cibo diventa una forma di “automedicazione” per alleviare temporaneamente il disagio emotivo.

Le caratteristiche della fame nervosa includono la preferenza per cibi ad alto contenuto calorico, spesso ricchi di grassi o zuccheri, e la sensazione di perdere il controllo durante i periodi di ingestione alimentare compulsiva. Dopo aver mangiato in modo eccessivo, le persone affette dalla fame nervosa spesso sperimentano sensi di colpa, vergogna e disgusto verso sé stesse. Questo ciclo può contribuire allo sviluppo e al mantenimento dei disturbi alimentari come l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa o il disturbo da alimentazione incontrollata.

Il senso di colpa spesso accompagna questa esperienza. Anche se può sembrare semplice da gestire dall’esterno, interrompere facilmente i meccanismi impulsivi associati alla fame nervosa può essere incredibilmente difficile. Il senso di colpa deriva dalla sensazione di non avere abbastanza controllo sul proprio comportamento alimentare e dalla frustrazione nel cercare di resistere a questi impulsi e anche dall’incomprensione che hanno gli altri dall’esterno dell’effettiva difficoltà ad avere controllo degli stessi.

È importante riconoscere che la fame nervosa è un meccanismo complesso che va oltre una semplice questione di forza di volontà. Coinvolge aspetti emotivi profondi e condizionamenti passati, per questo la psicoterapia può fornire un ambiente sicuro e non giudicante in cui esplorare le emozioni, i pensieri e i comportamenti correlati ad essa.

“La fame emotiva è il tentativo di riempire il vuoto delle emozioni con il cibo, ma alla fine ci rende solo più affamati di autentico sostegno emotivo.”

― Ellyn Satter

Per forza una cosa negativa?

La fame emotiva però non è necessariamente una cosa negativa. Fin dall’allattamento, abbiamo imparato a collegare cibo ed emozioni, e questo ha un significato fisiologico importante. Il cibo può offrire comfort e soddisfazione emozionale in alcune situazioni. Tuttavia, c’è una sottile ma significativa differenza tra una sana gestione delle emozioni attraverso il cibo e l’utilizzo del cibo come anestetizzante delle emozioni stesse.

Nel caso della sana gestione delle emozioni attraverso il cibo, siamo consapevoli delle nostre emozioni e, occasionalmente, possiamo ricorrere al cibo per trovare conforto o gratificazione. Questo può avvenire in momenti speciali o come parte di rituali sociali. Ad esempio, condividere un pasto con amici e familiari può essere un’esperienza gioiosa e significativa.

D’altra parte, quando cerchiamo costantemente il cibo per evitare o sopprimere le nostre emozioni, possiamo finire per ignorare i segnali di fame e sazietà del nostro corpo e utilizzare il cibo come meccanismo di coping disfunzionale. Questo può alimentare ulteriormente la fame nervosa e i disturbi alimentari. Riconoscere la differenza tra una sana gestione delle emozioni attraverso il cibo e l’utilizzo del cibo come anestetizzante delle emozioni è fondamentale nel percorso di guarigione.

Fame nervosa o fame fisica

Distinguere la fame nervosa dalla fame fisica può essere un aspetto cruciale nel comprendere e affrontare i disturbi alimentari. La fame nervosa è spesso scatenata da fattori emotivi, come lo stress, l’ansia o l’umore depresso, mentre la fame fisica è una risposta naturale del corpo al bisogno di nutrienti e energia.

La fame nervosa si manifesta improvvisamente e può essere accompagnata da desideri specifici per cibi particolari, come cibi ricchi di zuccheri o carboidrati. È spesso associata a un senso di “vuoto” emotivo o a un bisogno di gratificazione immediata. Inoltre, la fame nervosa può essere scatenata da fattori esterni, come situazioni stressanti o emotivamente cariche. D’altra parte, la fame fisica si sviluppa gradualmente e si manifesta con segnali fisici come il brontolio dello stomaco, la sensazione di debolezza o la diminuzione dei livelli di energia. Non è legata a emozioni specifiche o a un desiderio di gratificazione immediata. Inoltre, la fame fisica può essere soddisfatta da una varietà di cibi, non limitandosi a scelte specifiche.

Per distinguere la fame nervosa dalla fame fisica, può essere utile porre domande a sé stessi prima di mangiare. Ad esempio, chiedersi se si ha davvero fame o se si sta cercando di compensare uno stato emotivo negativo. Osservare i segnali fisici di fame come il brontolio dello stomaco o la sensazione di debolezza può aiutare a identificare la fame fisica.

La consapevolezza delle proprie emozioni e la capacità di riconoscere i segnali del proprio corpo sono importanti strumenti per distinguere tra fame nervosa e fame fisica. Mantenere un diario alimentare o uno schema di monitoraggio delle sensazioni può essere utile nel rilevare i modelli di alimentazione e comprendere le motivazioni dietro i comportamenti alimentari.

Fattori psicologici sottostanti

La fame nervosa può derivare da diverse cause profonde che vanno oltre il semplice desiderio di mangiare per alleviare lo stress o le emozioni negative. Una delle cause potenziali è rappresentata dalle esperienze traumatiche o avversità vissute nel corso della vita. Ad esempio, individui che hanno subito abusi, traumi o hanno affrontato perdite significative possono sviluppare una fame nervosa come modo per cercare conforto o autoproteggersi da esperienze traumatiche non elaborate o emotivamente dolorose.

Inoltre, può essere influenzata da disturbi dell’umore come la depressione o l’ansia. Le persone che soffrono di tali disturbi possono utilizzare il cibo come meccanismo di autoregolazione emotiva, cercando di compensare la tristezza, l’apatia o l’ansia cronica attraverso l’assunzione di cibo.

La bassa autostima e l’insoddisfazione corporea rappresentano ulteriori cause profonde della fame nervosa. Quando un individuo ha un’immagine negativa di sé stesso e vive un senso di insicurezza riguardo al proprio aspetto fisico, può ricorrere al cibo come modo per riempire un vuoto emotivo o per cercare di conformarsi agli ideali estetici imposti dalla società.

Infine, i modelli familiari e culturali possono influenzare la predisposizione alla fame nervosa. Ad esempio, se il cibo è stato utilizzato come ricompensa, comfort o meccanismo per gestire lo stress all’interno della famiglia di origine, una persona potrebbe sviluppare una relazione disfunzionale con il cibo, utilizzandolo come risposta automatica a situazioni emotive complesse.

Anche i problemi relazionali, sia all’interno della famiglia che con altre figure significative, possono giocare un ruolo significativo nello sviluppo della fame nervosa. Ad esempio, un ambiente familiare caratterizzato da conflitti, critiche e pressioni legate all’aspetto fisico può contribuire allo sviluppo di una relazione distorta con il cibo e scatenare episodi di fame nervosa. Inoltre, le esperienze di abuso fisico, sessuale o emotivo possono lasciare una profonda impronta nella psiche di un individuo, influenzando la relazione con il cibo e le emozioni associate ad esso. Le difficoltà nelle relazioni interpersonali, come sentimenti di isolamento, solitudine o mancanza di supporto emotivo, possono anche portare a un ricorso alla fame emotiva come meccanismo di coping disfunzionale.

È importante sottolineare che queste cause profonde non agiscono in modo isolato, ma spesso interagiscono e si influenzano reciprocamente, contribuendo alla complessità della fame nervosa nel contesto dei disturbi alimentari. Comprendere appieno queste cause può guidare l’intervento psicoterapeutico, indirizzandolo alla radice del problema e favorendo un percorso di guarigione più completo.

Approcci psicoterapeutici per la gestione della fame nervosa

Nel trattamento dei disturbi alimentari, l’approccio psicoterapeutico gioca un ruolo cruciale nella gestione della fame nervosa. Alcuni si concentrano sull’identificazione e sulla modifica dei pensieri disfunzionali e dei comportamenti legati alla fame nervosa. Gli obiettivi includono lo sviluppo di strategie di coping alternative alla “fame emotiva” e il miglioramento delle abilità di regolazione emotiva.

L’approccio della terapia si concentra sull’esplorazione dei conflitti e delle dinamiche inconsce che possono contribuire alla fame nervosa. Attraverso l’analisi delle radici psicologiche del comportamento alimentare, si mira a promuovere una maggiore consapevolezza di sé e a facilitare cambiamenti significativi.

Mindful eating

Un approccio promettente per affrontare la fame nervosa nel contesto dei disturbi alimentari è rappresentato dalla mindful eating, o “alimentazione consapevole”. La mindful eating si basa sulla pratica della consapevolezza e dell’attenzione al momento presente durante i pasti. Questo approccio invita le persone a sviluppare una maggiore consapevolezza di ciò che mangiano, delle sensazioni fisiche e delle emozioni associate all’atto del mangiare.

Nel contesto della fame nervosa, la mindful eating può aiutare le persone a riconoscere e distinguere tra la fame fisica e la fame emotiva. Attraverso l’osservazione attenta delle sensazioni corporee, come la fame nel ventre, le tensioni o le sensazioni di sazietà, le persone possono imparare a rispondere in modo consapevole alle vere necessità del loro corpo, piuttosto che cedere a impulsi emotivi o stressanti.

La mindful eating può anche contribuire a sviluppare una maggiore consapevolezza delle emozioni associate all’atto del mangiare. Le persone sono incoraggiate a notare le emozioni presenti nel momento in cui sperimentano il desiderio di mangiare e a interrogarsi sulle ragioni sottostanti a tale desiderio. Ad esempio, anziché reagire automaticamente al disagio emotivo con il cibo, possono esplorare alternative salutari per gestire lo stress o affrontare le emozioni negative, come la pratica della meditazione, l’esercizio fisico o l’espressione creativa.

Inoltre promuove anche un’attenzione consapevole alla scelta degli alimenti e all’atto del mangiare. Le persone sono invitate a esplorare i cibi con tutti i sensi, ad apprezzarne i sapori, le consistenze e i profumi, senza giudizio. Questo approccio permette di stabilire una relazione più equilibrata con il cibo, riducendo il senso di privazione e permettendo di soddisfare i bisogni nutrizionali in modo consapevole e gratificante.

Conclusione

La fame nervosa rappresenta un aspetto significativo dei disturbi alimentari, con un forte legame tra le emozioni e il comportamento alimentare disfunzionale. Attraverso un approccio psicoterapeutico, è possibile affrontare e gestire la fame nervosa, fornendo alle persone affette da disturbi alimentari strumenti e strategie per affrontare le emozioni negative in modo sano ed efficace. L’integrazione di diverse modalità terapeutiche può offrire un quadro completo per affrontare le complessità della fame nervosa, promuovendo il benessere psicologico e un rapporto equilibrato con il cibo.

“La fame emotiva può essere vista come un’opportunità per imparare a connetterci con noi stessi in modo più profondo e curare le ferite emotive.”

Michelle May

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Bambina-telefono

I nuovi strumenti digitali nell’educazione pedagogica: un’opportunità e una sfida per i genitori

L’avvento delle tecnologie digitali ha cambiato radicalmente il modo in cui i bambini interagiscono con il mondo. Oggi, i figli vengono esposti alle tecnologie in età sempre più precoce, grazie alla diffusione dei dispositivi con schermo tattile. Questa evoluzione ha permesso loro, anche a quelli che non sanno ancora leggere o scrivere e che non hanno ancora sviluppato pienamente la coordinazione oculo-manuale, di interagire con le tecnologie in anticipo rispetto al passato, superando così alcune barriere che limitavano l’accesso ai nuovi media e alle loro potenzialità.

“L’uso eccessivo o non regolamentato delle tecnologie digitali può portare a problemi come la dipendenza, l’isolamento sociale e la riduzione delle competenze cognitive. È fondamentale insegnare ai giovani a trovare un equilibrio tra l’uso delle tecnologie e le attività offline.

― Sherry Turkle

Studi sull’adozione delle tecnologie digitali fin dall’infanzia

Diverse indagini hanno confermato questa tendenza. Ad esempio, la fondazione statunitense Common Sense Media ha condotto una ricerca su vasta scala che ha documentato i cambiamenti significativi che coinvolgono i bambini e le tecnologie digitali, aggiornando i dati raccolti nel 2011 sullo stesso tema. Dai risultati di questo studio emergono dati rilevanti che richiedono un’attenta riflessione.

È evidente, innanzitutto, che l’accesso dei bambini più piccoli ai dispositivi digitali è notevolmente aumentato rispetto a due anni prima, passando dal 52% al 75%. In particolare, il 38% dei bambini di età inferiore ai due anni ha utilizzato un dispositivo mobile, rispetto al 10% del 2011. Inoltre, la percentuale che utilizza un mezzo digitale almeno una volta al giorno è più che raddoppiata, passando dall’8% al 17%. È stato osservato anche un triplicarsi del tempo dedicato a questi strumenti durante una giornata tipica. Questi dati mettono in luce l’ampliamento dell’accesso dei più piccoli alle tecnologie digitali e l’aumento del tempo che vi dedicano.

Questi risultati sottolineano l’importanza di affrontare in modo consapevole e psicoterapeutico l’educazione pedagogica nell’era digitale. Mentre le nuove tecnologie offrono opportunità straordinarie, è fondamentale che i genitori comprendano gli effetti di questa esposizione precoce e guidino i loro figli verso un utilizzo sano e consapevole delle tecnologie digitali.

Comprendere l’impatto dei nuovi strumenti digitali sull’educazione

Per affrontare in modo efficace l’educazione pedagogica nell’era digitale, è fondamentale comprendere l’impatto dei nuovi strumenti digitali sull’apprendimento e lo sviluppo dei bambini. Mentre l’utilizzo delle tecnologie può offrire opportunità uniche di accesso all’informazione e alla conoscenza, può anche esporre i bambini a rischi come la dipendenza digitale. Studi recenti indicano che il 10% degli adolescenti è a rischio di sviluppare una dipendenza patologica dai dispositivi digitali. Questo sottolinea l’importanza di una consapevolezza critica e di una guida attenta da parte dei genitori.

Mantenere un equilibrio tra l’uso dei dispositivi digitali e le attività tradizionali

Per evitare una dipendenza digitale e promuovere uno sviluppo equilibrato, i genitori devono incoraggiare un utilizzo consapevole dei dispositivi digitali. È essenziale stabilire limiti chiari sul tempo trascorso davanti agli schermi e incentivare una varietà di esperienze educative che coinvolgono il gioco all’aperto, l’interazione sociale e altre attività tradizionali. Il mantenimento di un equilibrio tra l’uso dei dispositivi digitali e le attività offline favorisce una crescita sana e multidimensionale.

Le regole di buona condotta nell’utilizzo delle tecnologie digitali possono sembrare scontate, ma spesso i genitori cadono in trappole che ne favoriscono un utilizzo eccessivo da parte dei figli. L’uso del telefono come strumento di intrattenimento e la mancanza di limiti possono portare alla situazione paradossale in cui i bambini diventano più abili nell’utilizzo di queste tecnologie rispetto ai loro stessi genitori, rendendo difficile il controllo su ciò che ne fanno.

L’educazione digitale dei figli dipende in gran parte dal comportamento dei genitori. Spesso sono proprio questi che, con le proprie azioni, espongono i figli all’uso eccessivo dei dispositivi digitali.

È essenziale che i genitori comprendano il loro ruolo di modelli e si impegnino a utilizzare in modo consapevole e bilanciato le tecnologie digitali. Dovrebbero stabilire limiti chiari per sé stessi e per i propri figli, evitando di utilizzare il telefono come mezzo di intrattenimento o come surrogato per l’interazione e il tempo di qualità con i figli. I genitori devono essere consapevoli del fatto che la loro educazione comportamentale nei confronti della tecnologia avrà un impatto duraturo sull’educazione digitale dei loro figli.

Promuovere l’utilizzo consapevole dei nuovi strumenti digitali

Per garantire un utilizzo consapevole dei nuovi strumenti digitali, i genitori devono essere coinvolti attivamente nella selezione delle risorse e delle applicazioni adatte ai propri figli. Questo implica una valutazione attenta della qualità del contenuto, della sicurezza online e del tempo trascorso davanti agli schermi. I genitori possono giocare un ruolo fondamentale nell’insegnare ai loro figli a valutare criticamente le informazioni online, adottare comportamenti sicuri e responsabili e sviluppare competenze digitali.

Sfruttare i videogiochi educativi come strumenti di apprendimento

I videogiochi educativi ad esempio rappresentano un’opportunità significativa per l’apprendimento dei bambini. Questi giochi, quando ben progettati, possono migliorare le abilità cognitive, la risoluzione dei problemi e la creatività. I genitori possono fare una selezione oculata di giochi adatti all’età dei loro figli, che offrano una sfida appropriata e incoraggino l’interazione sociale. Integrare i videogiochi educativi nell’educazione pedagogica dei bambini può offrire un modo coinvolgente e stimolante per sviluppare competenze e conoscenze.

Trattare la dipendenza da smartphone con strumenti digitali

La dipendenza da smartphone è diventata un problema crescente tra i giovani, ma paradossalmente, gli strumenti digitali possono essere utilizzati anche per affrontare e curare questa dipendenza. Le Mental Health app, ad esempio, offrono supporto e risorse per affrontare la dipendenza digitale e promuovere una gestione sana degli smartphone. Attraverso funzionalità come la consapevolezza, il tracciamento del tempo e il monitoraggio delle abitudini, queste app possono aiutare i giovani a regolare l’uso degli smartphone e a sviluppare strategie per migliorare la salute mentale e il benessere.

Conclusione

L’educazione pedagogica nell’era digitale richiede una comprensione approfondita degli effetti dei nuovi strumenti digitali sui bambini. I genitori hanno un ruolo cruciale nel guidare i loro figli verso un utilizzo sano e consapevole della tecnologia. Promuovere un equilibrio tra l’uso dei dispositivi digitali e le attività tradizionali, selezionare con cura le risorse digitali, sfruttare i videogiochi educativi e utilizzare strumenti digitali per affrontare la dipendenza da smartphone sono solo alcuni degli approcci che i genitori possono adottare per garantire un’educazione positiva e bilanciata nell’era digitale.

“Gli insegnanti e i genitori devono essere coinvolti nell’educazione digitale dei giovani, fornendo linee guida, modelli positivi e opportunità di apprendimento basate sui nuovi strumenti digitali.”

James Paul Gee

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Oltre il peso: Affrontare l’insoddisfazione corporea nei disturbi alimentari

L’insoddisfazione corporea rappresenta un fattore di rischio significativo per lo sviluppo dei disturbi alimentari, che vanno considerati come malattie mentali complesse piuttosto che semplici malattie del peso.

“I disturbi alimentari sono una forma di espressione del dolore emotivo. La lotta con il cibo diventa un modo per gestire le emozioni difficili, ma alla fine porta solo a ulteriori sofferenze.”

― Maudsley Hospital

I molteplici motivi dei disturbi alimentaria Psicoterapia

Contrariamente alla percezione comune, i disturbi alimentari non si presentano in una sola forma o peso, ma rappresentano una complessa interazione tra diversi fattori biologici, psicologici, sociali e culturali. Può derivare da un profondo disagio emotivo e da una lotta interna per il controllo, in cui il cibo diventa un mezzo per affrontare o evitare i sentimenti negativi. Inoltre, i disturbi alimentari possono essere collegati a problemi di autostima, ansia, depressione, traumi passati o difficoltà relazionali. È importante comprendere la vastità di questi fattori per affrontare efficacemente l’insoddisfazione corporea nei disturbi alimentari.

Approccio psicoterapeutico completo per affrontare l’insoddisfazione corporea

Per affrontare l’insoddisfazione corporea nel contesto dei disturbi alimentari, è fondamentale adottare un approccio psicoterapeutico integrato e personalizzato. Questo tipo di approccio va oltre la semplice gestione del peso corporeo e si concentra sulla comprensione profonda delle radici del disturbo, nonché sulla promozione di una relazione più sana con il proprio corpo.

Nel percorso di trattamento, è essenziale esplorare i fattori scatenanti e i pensieri distorsivi legati all’immagine corporea. Spesso, l’insoddisfazione corporea è alimentata da credenze irrazionali e distorte riguardo all’aspetto fisico, che possono contribuire al mantenimento dei disturbi alimentari. Il terapeuta lavorerà con il paziente per identificare e modificare queste distorsioni cognitive, promuovendo una prospettiva più realistica e positiva dell’immagine corporea.

Un altro aspetto cruciale dell’approccio psicoterapeutico è l’elaborazione delle emozioni difficili. Spesso, i disturbi alimentari sono una forma di copertura o controllo delle emozioni negative come l’ansia, la tristezza o la rabbia. Attraverso la terapia, si incoraggia il paziente a sviluppare strategie di coping alternative e più salutari per gestire queste emozioni, anziché ricorrere all’alimentazione disfunzionale.

La terapia cognitivo-comportamentale (CBT) e la terapia basata sul processo sono due approcci utilizzati nel trattamento dei disturbi alimentari. La CBT si concentra sulla modifica dei modelli di pensiero e dei comportamenti disfunzionali, lavorando per sfidare le credenze negative riguardanti il corpo e l’alimentazione. La terapia basata sul processo, d’altra parte, si focalizza sul processo individuale di cambiamento e crescita, promuovendo un’esplorazione consapevole dell’esperienza presente e l’integrazione delle risorse interne. Entrambi gli approcci sono complementari e offrono strumenti efficaci per affrontare i disturbi alimentari. La CBT utilizza tecniche specifiche, come l’esposizione graduale, per affrontare l’ansia e il disagio legati all’immagine corporea, mentre la terapia basata sul processo valorizza un ruolo attivo nel proprio processo di guarigione e si adatta alle esigenze individuali del paziente. L’integrazione di entrambi gli approcci può fornire un percorso terapeutico completo e personalizzato per affrontare i disturbi alimentari e promuovere la guarigione e la crescita personale.

La terapia psicodinamica è un altro approccio che può essere utilizzato nel trattamento dell’insoddisfazione corporea nei disturbi alimentari. Questa forma di terapia si concentra sulla comprensione dei processi inconsci e dei modelli di relazione che possono contribuire alla formazione e al mantenimento dei disturbi alimentari. Lavorando in uno spazio terapeutico sicuro e di fiducia, il paziente può esplorare i traumi passati, le dinamiche familiari disfunzionali o le difficoltà relazionali che possono influire sull’immagine corporea e sul comportamento alimentare.

Oltre alla terapia individuale, la terapia familiare può svolgere un ruolo importante nel trattamento dei disturbi alimentari. Coinvolgere la famiglia nel processo terapeutico può aiutare a comprendere meglio i dinamismi familiari che possono contribuire all’insoddisfazione corporea e ai disturbi alimentari. Questo approccio permette di lavorare sul miglioramento della comunicazione familiare, sulla promozione di un ambiente di supporto e sull’identificazione di strategie familiari per sostenere la guarigione.

Il ruolo dei social media nei disturbi alimentari

Nell’era digitale e dei social media, la relazione tra disturbi alimentari e l’uso di piattaforme online è diventata un argomento di crescente interesse e preoccupazione. I social media offrono un ambiente virtuale in cui le persone possono condividere immagini, commenti e pensieri sul proprio aspetto fisico e sul cibo. Tuttavia, questa costante esposizione a contenuti che idealizzano un corpo magro, perfetto e immagini di diete estreme può avere un impatto significativo sulla percezione del proprio corpo e alimentazione.

I social media possono contribuire all’insoddisfazione corporea in diversi modi. In primo luogo, l’esposizione a immagini ritoccate e filtri che mostrano corpi “perfetti” può creare un’immagine distorta della realtà, facendo sentire le persone insicure e insoddisfatte del proprio aspetto fisico. Le comparazioni sociali possono essere particolarmente dannose, poiché le persone tendono a confrontarsi con gli altri e a sentirsi inadeguate se non raggiungono gli standard irrealistici promossi dai social media.

Inoltre, i social media possono anche favorire comportamenti alimentari disordinati. Le diete estreme, le restrizioni alimentari e le tendenze di “fitspiration” promosse online possono influenzare negativamente il comportamento alimentare delle persone, spingendole verso pratiche non salutari e disordinate. In alcuni casi, i social media possono anche fungere da piattaforma per la promozione di contenuti pro-ana (pro-anoressia) e pro-mia (pro-bulimia), che incoraggiano e perpetuano i disturbi alimentari.

Le persone con disturbi alimentari possono essere particolarmente vulnerabili all’influenza dei social media. Le piattaforme online possono fornire un’illusione di comunità e supporto, ma allo stesso tempo possono amplificare i comportamenti disordinati e isolare ulteriormente le persone dai canali di aiuto tradizionali. La competizione per ottenere il “like” e l’approvazione online può diventare un fattore di stress aggiuntivo per coloro che già lutano con l’insoddisfazione corporea e l’autostima.

Affrontare l’impatto dei social media nei disturbi alimentari

Per affrontare l’impatto negativo dei social media nei disturbi alimentari, è fondamentale sviluppare una maggiore consapevolezza critica riguardo ai contenuti online. Gli individui devono essere in grado di riconoscere quando gli standard irrealistici o i comportamenti disordinati sono promossi e imparare a filtrare le informazioni dannose.

Inoltre, è importante promuovere l’educazione digitale e il pensiero critico nelle scuole e nelle famiglie. Gli adolescenti e i giovani adulti, in particolare, dovrebbero essere consapevoli dei pericoli dell’idealizzazione dei corpi sui social media e delle strategie di autoprotezione per preservare la propria salute mentale.

Le piattaforme dei social media hanno anche una responsabilità nel contrastare gli effetti negativi dei disturbi alimentari. Le società di social media possono implementare politiche più rigorose per evitare la promozione di contenuti pro-ana e pro-mia e fornire risorse e supporto per coloro che cercano aiuto per i disturbi alimentari.

Una combinazione di consapevolezza critica, educazione digitale, politiche dei social media responsabili e trattamento professionale può contribuire a promuovere una visione più equilibrata del corpo e a prevenire e trattare i disturbi alimentari correlati ai social media.

Conclusioni

In conclusione, spostare il focus dei disturbi alimentari dalla semplice questione del peso corporeo all’analisi approfondita delle emozioni sottostanti e dei fattori psicologici, sociali e culturali è cruciale per una comprensione completa e una terapia efficace. Riconoscere che i disturbi alimentari sono malattie mentali ci permette di concentrarci sulla promozione della salute mentale, sull’autostima e sull’acquisizione di strategie di coping più efficaci. Solo attraverso un approccio integrato e una visione più equilibrata del corpo, possiamo aiutare coloro che soffrono di disturbi alimentari a intraprendere un percorso di guarigione completo.

“L’immagine corporea è una rappresentazione complessa delle nostre emozioni, dei nostri pensieri e delle nostre relazioni con il mondo. È importante lavorare sulla percezione di sé e sulla consapevolezza del proprio corpo per superare i disturbi alimentari.”

―Susie Orbach

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